Le antiche origini del podere La Melosa

Nell’ XI secolo era una Pieve benedettina, poi dominio della famiglia Aldobrandi

 ricordata da Dante nel Purgatorio

Due silenziosi custodi della storia

L’atmosfera un po’ mistica ed incantata che è facile avvertire a “La Melosa” è tipica espressione proprio dei luoghi di lunga memoria. La traccia di un passato tanto intenso sotto l’aspetto storico-sociale ed artistico contribuisce indubbiamente a spiegare quell’atmosfera ed è possibile ritrovarlo nel contesto naturale in cui è immerso.

Quello che oggi si chiama il podere, o la tenuta, La MELOSA, in epoca medioevale era conosciuta come San Cassiano. La pieve fu intitolata a San Cassiano, un monaco orientale del IV secolo, noto come autore di trattati sulla ubicazione e organizzazione delle più remote strutture conventuali dell’era cristiana.

Non ci sono prove documentali certe, ma pare aderente alla verità storica collegare la presenza dei due maestosi alberi di leccio, – sul lato nord- ad un nucleo monastico dell’ordine benedettino che, all’inizio del XI secolo, istituiva non casualmente un piccolo convento sul pianoro che fa da spartiacque tra il torrente Bai, a sud, ed il torrente della Seguentina a nord.

Da Pieve San Cassiano a La Melosa

La prima presenza documentata della Pieve di San Cassiano è nel “catasto leopoldino” dove compare già come “Casa Melosa” ed è strettamente legata al più importante monastero benedettino di S. Salvatore di Giugnano -poche miglia più a valle lungo il torrente Bai- da poco oggetto di un sapiente recupero strutturale in quanto considerato il più singolare reperto storico-architettonico del Comune di Roccastrada.

All’epoca, l’intero bacino del Bai, specie nel settore alto, costituiva, nella struttura economica del comprensorio nell’ambito della giurisdizione monacense, una riserva di tutto rispetto. La sua importanza era data dalla presenza nel sottosuolo di giacimenti di piombo, rame e argento. Sono tuttora visibili le tre gallerie nelle pendici del “Poggio Mozzeto” – poche centinaia di metri ad ovest da la Melosa, e gli ammassi dei residui della fusione dei metalli, insieme ai ruderi dei forni di cottura localizzati in più punti lungo il letto del torrente.  Quest’ultimo, per la tipicità del corso e per il costante tributo idrico era sede di una intensa attività molitoria, tanto che fino alla metà del secolo scorso erano attivi ben cinque molini a pietra, due dei quali (Riguerci e Giugnano), ben recuperati mostrano la loro originaria struttura.

Il potere degli Aldobrandeschi secondo Dante

Agli inizi del sec. XIII, per effetto di una complessa transazione con i signori di Lattaia, avvalorata dalla concessione di Innocenzo III del 3 luglio 1206, il patrimonio abbaziale di San Salvatore venne ceduto al più importante monastero cistercense di San Galgano a Montesiepi. Alla vendita sembra che non furono estranei gli interessi politici della famiglia dei conti Aldobrandeschi. Il sommo poeta Dante è testimone della loro potenza al punto che ne ha lasciato una vivida immagine nel canto XI del Purgatorio: sotto il peso di un grosso macigno è il conte Umberto, a ricordare al poeta le proprie referenze familiari: “Io fui latino figlio di un gran tosco – Guglielmo Aldobrandesco fu mio padre – non so se il nome suo già mai fu vosco…”

Alcuni dati statistici sulla Toscana:

La Toscana è una delle mete preferite del turismo, sia italiano che straniero. Al contrario di quello che si pensa sono più i turisti italiani di quelli stranieri (19.683.357 VS 17.530.762). L’11% del loro totale sceglie di trascorrere una vacanza nella provincia di Grosseto. I più assidui tra gli stranieri che frequentano la campagna sono i britannici, seguiti dai tedeschi e da americani, francesi, svizzeri e giapponesi. Gli italiani che scelgono le zone collinari sono meno della metà (3,43% VS 8,38%).

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